A cento anni dalla sua fondazione il futurismo torna a Milano, città che è stata l'incubatrice e la sede di elezione dei suoi primi e più fervidi anni. La mostra ripercorre per intero in trentennio in cui il futurismo fu attivo e ne documenta l'intero campo di azione. Pittura e scultura hanno un ruolo dominante, ma attenzione è posta anche ad architettura, paroliberismo, fotografia, cinema, musica, scena teatrale e a quella “cultura quotidiana” che comprende in sé lo sfaccettato ventaglio espressivo a cui fanno capo le arti decorative, come la moda o la nascente pubblicità, per ricostruire quell'equazione arte-vita che costituisce la più vistosa ed ineguagliata specificità fra le avanguardie europee. In sintesi: si parte dalle radici del futurismo, la cultura visiva milanese di fine Ottocento dominata dal divisionismo. Alla figura di Filippo Tommaso Marinetti è dedicata una sezione di snodo, poi la rassegna è scandita per decenni, ognuno dei quali è individuato da una propria dominante estetica (anni Dieci il dinamismo plastico, anni Venti l'arte meccanica e anni Trenta l'aeropittura). Dei numerosi artisti che aderirono al futurismo sono presenti con opere capitali solo coloro che diedero un significativo contributo alla causa, sia sul piano della qualità della loro ricerca, sia sul versante del dibattito teorico.
Dopo l'introduzione affidata alle fotografia, si inizia con “Prima del futurismo, luce e ombra: la scultura di Medardo Rosso e il simbolismo visionario”. Le emergenze della società milanese in trasformazione erano state affrontate dagli Scapigliati. Medardo Rosso dà voce a un mondo marginale: i futuristi riconoscono in lui un maestro per la lezione di una forma instabile, smaterializzata dalla luce e compenetrata nello spazio. Milano è percorsa in quegli anni dalla cultura simbolista, specie quella cupa nordeuropea. Il divisionismo si pone fra positivismo, simbolismo e pensiero sociale. La cultura milanese di fine Ottocento è infatti segnata dal positivismo, con la sua fede nella scienza e nella tecnologia allora trionfanti. Gli artisti si affidano al nuovo procedimento della divisione del colore, frutto delle recenti scoperte dell'ottica. Nel 1891 suscita reazioni l'esposizione alla Triennale di Brera della “Maternità” di Previati per l'aspetto giudicato non finito e la componente simbolista, espressione di quella corrente di pensiero che, opponendosi al positivismo, punta non più sulle certezze della scienza, ma sulla profonda interiorità dell'individuo. L'altra grande linea di pensiero del tempo è il socialismo, di cui è massima espressione Giuseppe Pellizza da Volpedo, che sostiene “non più l'arte per l'arte, ma l'arte per l'umanità”.
Dopo una piccola sala su Marinetti, che serve da punto di congiunzione e rimando all'ampia mostra alle Stelline (leggi la recensione sul sito), ecco il “triumvirato milanese”: Boccioni, Carrà, Russolo e il loro dinamismo plastico. L'immagine si smaterializza in forme costruite con filamenti flessuosi o con minuscoli tocchi di colore, dando vita a composizioni accese da intensi bagliori. I corpi si compenetrano per effetto della simultaneità (da loro intesa con Bergson come sintesi di percezione, memoria ed emozione) che si situa in uno spazio non vuoto ma attraversato da onde elettromagnetiche (Boccioni, Stati d'animo). Nel 1911 l'incontro dei triumviri Parigi col cubismo modifica l'orientamento spiritualista e simbolista della ricerca futurista. Ora le forme si strutturano, cristallizzando i volumi ed acquisendo una inedita plasticità. Balla invece non va a Parigi, si ispira alla ricerca scientifica, studia il movimento muscolare e moltiplica le linee e le forme secondo i principi del cinetismo. Gino Severini, trasferitosi a Parigi nel 1906, è il tramite fra la città e il gruppo dei futuristi. Nelle sculture la forma prende vita nello spazio reale: famosissima “Forme uniche nella continuità dello spazio”, raffigurata sulle monete da 20 centesimi.
Un contributo significativo e personale al movimento lo dà Fortunato Depero: il suo è un futurismo “magico”, l'atteggiamento è ludico; il pittore (di cui è ora visitabile la “casa futurista” a Rovereto) propende per un'estetica “meccanica” dopo l'incontro fondamentale con Gilbert Clavel, il quale è al centro di opere in mostra.
Boccioni e Sironi sono “compagni di strada” dei futuristi. Il primo è uno dei capisaldi del movimento; il secondo propone forme dense e volumetriche con una cromia severa. Con loro altri artisti (Aroldo Bonzagni, Giuseppe Cominetti, Ugo Giannattasio, Gino Galli, Achille Funi, Leonardo Dudreville, Baldessari e Gerardo Dottori) ma non Prampolini che, ostracizzato dal movimento, si aprì alle avanguardie europee.
Nel 1914 Sant'Elia pubblica il manifesto dell'architettura futurista, in cui formula i principi di una città “verticale”, costruita sfruttando le potenzialità dei nuovi materiali. Egli punta a un tessuto urbano con strutture complesse attraversate da flussi in costante movimento, percorsi su diversi livelli per pedoni, tram e auto che costituiscono soluzioni radicalmente innovative. Altri architetti futuristi sono Virgilio Marchi, allievo di Balla, e Mario Chiattone, il quale si concentra su edifici isolati imponenti.
Il linguaggio futurista viene coinvolto nella quotidianità e nei vari aspetti della comunicazione. Se le forme e i contenuti del movimento trovano negli oggetti quotidiani e nelle arti decorative un veicolo privilegiato, certo l'ambito pubblicitario riveste un ruolo primario di comunicazione. Tra tutti eccelle la fantasia creativa e caustica di Depero (magnesia San Pellegrino, bitter Campari). Imperdibili i servizi da tavola.
L'attività teatrale del movimento inizia nel 1910 con le serate futuriste, tumultuosi happening in cui politica e arte si associavano in un'azione di provocazione e propaganda. Sul fronte della scenografia Balla, Depero e Prampolini avviano una ricerca d'avanguardia, attribuendo una prevalenza assoluta alla scenografia, fino ad abolire la presenza dell'attore. Così fa Balla per i “Feu d'artifice” di Stravinsky, messo in scena dai Ballets Russes nel 1917 a Roma: una rivoluzionaria scenografia nella quale non sono i ballerini a danzare ma le luci che illuminano a tempo di musica i volumi geometrici colorati. Negli anni Venti si assiste a una progressiva meccanicizzazione della scena e alla elaborazione di costumi plastici da parte di Depero.
Dopo una sezione dedicata al paroliberismo e al libro oggetto, ecco gli anni Venti con l'arte meccanica: ritmi meccanici, automi e geometrie dominano le tele (sin dal suo apparire il futurismo si era votato al culto della macchina). Negli anni Trenta si teorizza l'aeropittura: il volo è visto come dimensione della modernità che spalanca orizzonti inattesi. Con il volo si annullano i riferimenti della prospettiva codificata dal Rinascimento, rivive il mito di Icaro e l'uomo affonda lo sguardo nel mistero del divino. Con Prampolini ed il suo polimaterismo si arriva a idealizzare il cosmo. La mostra si chiude con una sezione sui lasciti del futurismo affidati alle generazioni future con grandi artisti del secondo Novecento che guardano al futurismo o rendono al movimento un esplicito omaggio (notevole Dorazio). Ma già la mostra genovese del 1998 si era chiesta fin dove si potesse spingere il futurismo: certo non dopo gli anni Trenta.
A documentare l'immensa mostra un poderoso catalogo, curato da Ada Masoero e Giovanni Lista, completo di cd.
Peccato che lungo il percorso non ci sia un solo posto per sedersi, riposare, ammirare comodamente le opere, neppure davanti al teatro futurista: sempre in piedi, per ore. Appagati, ma stanchi.
Milano, Palazzo Reale, fino al 07 giugno 2009, aperta da martedì a domenica dalle 9,30 alle 19,30, lunedì dalle 14,30 alle 19,30, giovedì dalle 9,30 alle 22,30, ingresso euro 9,00 (ingresso ridotto a 7,50 euro presentando il biglietto intero della mostra su Marinetti allestita alla Fondazione Stelline), catalogo Skira, infoline 02.54919, sito internet www.futurismo.milano.it
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